Archivio tag | comunque con i tacchi

Nespak

E se vi dicessi che sono felice? Ebbene lo sono e in poche righe, per non annoiare nessuno, proverò a scrivere perché.

Ho trovato un lavoro!

Sì, mi hanno scelta dopo aver intervistato alcune candidate, è un lavoro a tempo determinato in una bella azienda a Massa Lombarda;  si chiama Nespak ed io sarò d’aiuto nell’ufficio spedizioni. Mi sento di nuovo viva nel vero senso della parola!

Ho un programma di lavoro da imparare e persone stupende da conoscere, ed ho di nuovo una lunga estate per arricchire me stessa con nuove emozioni e sensazioni.

Posso affrontare questo cammino con serenità,  gli esami vanno bene, il cancro è fermo ed io mi sento in forma! Non ho nessuna intenzione di smettere di scrivere e di leggervi, mi siete stati tutti vicino e siete importanti per me: avete fatto in modo che non mi sentissi mai sola. Ecco perché sono sicura che in questo momento della mia vita sarete felici per me e con me!

Adesso ogni volta che al supermercato comprerete pesche, albicocche oppure due buone braciole confezionate in quei bei contenitori, penserete a me: la Nespak è azienda leader nella produzione di tanti di questi articoli che poi spedisce in tutta Italia e nel mondo.

Portami con te

Una sera  tre amici sentivano il bisogno di scrivere “parole”

Marco,Vincenzo e Monica

Conservo questa poesia da tre anni e ora ho deciso di regalarla anche a voi!

Come in un sogno
come nessuno ha fatto prima
ti bacerò
all’ombra dell’ultima luna

E non è un gioco
non è paura né pretesto
se sono qui
è perché solo non ti lascio

Si chiama amore
questo bisogno di nuotare
fino al tuo cuore
un portachiavi appeso al mare

Negli occhi miei c’è quello che non vedi
Negli occhi miei c’è l’ombra del tuo viso
c’è il muro in cui disegno il tuo sorriso

Negli occhi miei c’è l’ultima poesia
della mia vita se un giorno sarai mio

Come in un sogno
come nessuno ha fatto prima
ti aspetterò
respiro della sera

E non è un gioco
e non sarà finzione
se tu sei qui
distratta mia emozione

Lo chiamo amore
bisogno di volare
vedrai non muore
è vita da scolpire.

San Valentino e San Faustino

bellissima rosa

Ad un amore che ancora non c’è ma ci sarà voglio dire…

Grazie per essermi accanto sono qui a chiederti ancora una volta di stare con me non andare mai via dalla mia vita. Prometto di non essere troppo pesante, di non chiedere troppo e soprattutto l’impossibile…

Sappi che ti amo da sempre e per sempre

Tu sei il mio respiro

L’emozione più grande

Le mie lacrime

I miei sorrisi

Tu sei tutto quello che non avrei potuto sperare.

Sheth shen zhon…

Fine anno

canegatto

In fondo questa mia vita è un eterno concerto
un palcoscenico aperto animato ogni giorno di più
La mia mente si accende e il destino qui gioca i suoi assi…
Se solo potessi non smetterei più.
Una sorta di alchimia
che ci vuole qua
basta un niente ed è magia
tutto il resto… banalità

Je T’Adore Iglio Coniglio

iglio coniglio

Ti adoro perchè è bello sentirti ridere.

Perchè sei un tenero uomo dentro un pullover blu che odora di te.

Ti adoro perchè sei timido e audace.

Ti adoro perchè hai un viso che quando sorride è pari al sole che brilla nel cielo.

Ti adoro perchè sei tu…

Venusta “solo” una donna

ines oliveria

Il locale era sporco e demodé…
Odore acre di sigaretta, e una cameriera con la calza sfilata e una minigonna che offendeva la dignità di quella donna segnata dal tempo.
“Vorrei il tavolino più in ombra possibile” disse Venusta.
Le rispose una voce rauca e stanca, sgarbata più con se stessa che con lei: “senti bella, siediti dove vuoi… Come vedi il locale è vuoto. Ma cosa ci sei venuta a fare qui? Non è il tuo posto questo…” Venusta si sedette e appoggiò lo sguardo sul palco. Un vecchio signore seduto al piano suonava meravigliosamente, travolgendo per un attimo i pensieri di Venusta prima che una domanda li interrompesse: “Cosa ti porto da bere?”. Chiese una bibita e tornò ad accomodarsi sulle note del pianista. Intanto i pensieri di Venusta si accalcavano nella sua mente e senza che lei li potesse fermare (o era lei a non volerlo?) lui fece la sua comparsa…Le ore passavano, la bibita intiepidiva nel bicchiere, e lei non smetteva di pensare a lui, come se soltanto lì fosse tollerabile il ricordo. Era tornata dopo tanto tempo in quel locale con la speranza di ritrovarlo. Ubbidiente a una lontana promessa: “… tieniti pronta, l’ultimo ballo sarà con te!”. Venusta era venuta per quello …L’ultimo ballo, lui me lo deve da tempo, ora sono pronta, ma non c’è nessuno: non ci sono più le candele non ci sono più i buoni profumi, ma soprattutto…
D’un tratto incontrò la propria immagine in uno specchio sfocato. Era lei, vent’anni, le guance arrossate dalla timidezza, l’abitino appena scollato, lo sguardo di lui soltanto per lei… adesso era lei a non esserci più…
Come in trance Venusta con un unghia ferì la calza sottile …tirò fuori la trousse e accentuò il trucco sulle labbra, con la cipria appesantì le guance, una matita nera per fare male agli occhi non segnati dal tempo ma da una caparbia illusione… si diresse verso il pianista e domandò: “un tango per favore… un ultimo ballo!” Fu una richiesta sommessa, fiera e desolata insieme. Non alzò lo sguardo, sentiva scendere una lacrima mentre stupita si domandava com’è che ne avesse una ancora.
E in un attimo sentì esplodere dentro tutta la rabbia di donna ferita e umiliata da tempo, un tempo lungo tutta la sua anima. Si  sentì sporca sul viso, si sentì nuda ospite a disagio in quegli abiti non suoi…Il pianista smise di suonare e sollevò il viso di Venusta con la stessa delicatezza con cui fabbricava le note.Non era un uomo anziano. Al contrario era piuttosto giovane …Venusta indugiò su quel nuovo stupore.  Chissà perché da lontano lo aveva visto vecchio e curvo sul pianoforte.  Forse le luci sbiadite, forse la giacca di nero liso, i capelli brizzolati nel locale azzurrino di fumo… Fu una voce calda e intonata quella che rispose: “Volentieri, suonerò qualcosa per lei solo .Ma non certo le note di tango arrabbiato, quelle graffiano le anime nude, lo sapeva? Per lei una melodia dolce, priva di malinconia, semplice come un abitino appena scollato, tiepida come due giovani guance appena arrossate. Una melodia che possa in qualche modo accompagnare il ricordo di chi le ha fatto tanto male nello scomparto dei ricordi sereni!
Venusta lo guardò, guardò quell’uomo e scappò via, inseguita dal proprio dolore che lui aveva portato allo scoperto con l’abilità di un chirurgo…
Come aveva fatto il pianista a capire… E come si era permesso di arrivare così vicino alla sua verità… chi era?

Le parole di quell’uomo l’avevano trafitta. Via di lì. Venusta si sentiva denudata. Gli occhi di lui l’avevano disvelata senza riguardo. Non pensava ad altro che a scappare. Sottrarsi e subito a uno sguardo che le scivolava dentro impudìco.Fuori fa freddo, ma non tanto come nel suo cuore. Finestra aperte a gennaio, il suo cuore ora è così. Brividi.
Scappa, scappa via, la voce dentro alla testa no, non riesce a lasciarla indietro… La segue sempre, quella voce, abita nella sua testa, non la lascia in pace; martellante come il rumore dei tacchi che ora risuona dissonante sul selciato, e che le ha rovinato la vita, quella voce gelosa che non ha mai lasciato avvicinare nessuno… non dopo che lui…
“Smetti!” ordinò.
In una frazione di silenzio conquistato si insinuarono spietati i ricordi.
Venusta ragazza, le guance rosate e un sorriso destinato a spegnersi. Lui bello e dannato che se la mangiava con gli occhi, lui che con il solo sguardo le aveva promesso l’amore, lui che alla fine ha scelto l’altra, spregiudicata e ricca… lui.
Venusta ferita da una storia banale, offesa da un’ingenuità banale, tradita da un uomo banale… ma dio, quant’era bello. (santo cielo, Venusta, come diavolo hai fatto…) “Lo rifarei!” Ma:
”Che tu sia dannato ovunque tu sia!!!
Era la sua voce. Esplosa dal cuore e dai polmoni in quell’urlo che squarciava il cielo.
Venusta sentì di voler raccogliere il suo dolore sparso sul selciato. Era suo, era ciò che le restava.
Esausta si lasciò andare su una panchina come una marionetta orfana dei fili.
Il trucco abbandonava il suo viso trascinato dalle lacrime come una maschera non sua che al suo volto non calzava più. La mente tornò sui suoi passi… Il pianista. Come aveva potuto vedere attraverso il suo cuore? Ad altro Venusta non pensava che al tocco gentile dal quale scaturivano note che l’avevano dissetata. Note dolci e gentili, melodia offerta al suo cuore, illusione di pace.
Che strano, non ricordava il suo viso.
Il passato giocava crudelmente a farsi presente, il cuore pesante come un panno bagnato e freddo.
Venusta esausta, Venusta arrabbiata… e così stanca…
Portò se stessa a casa. Come non se lo ricordava. Il getto caldo della doccia scioglieva la donna che era stata quella sera, solo per farsi altro male.
Lo specchio restituì il suo viso pulito. Indugiò di proposito di fronte a se stessa, concentrata in quel silenzio il cui rumore atroce la stupì. Ma non aveva più forza per altri pensieri. Specialmente se facevano male…
Le lenzuola l’accolsero come braccia inerti. E il sonno, compassionevole la prese….ma….
Il sonno, complice degli imprevedibili percorsi dei sogni…i ricordi, lunghi fili di lino in libertà, tessono una tela nuova, trama di un passato sepolto nella memoria dolente di Venusta. A braccetto le due amiche attraversano il prato, fiorite anche loro di giovinezza, e profumate di promesse. Giorgia, impaziente e Venusta, più schiva. Mussola colorata, gonne fluttuanti pronte a gonfiarsi in un giro di ballo, a scoprire cosce sfrontate di adolescenti frutti maturi finalmente all’amore. Giorgia che abbandona il braccio dell’amica trascinata da due braccia forti e un sorriso. Venusta, seduta ai confini della pista da ballo, osserva quei corpi che danzano giovanili trionfi e sperimenta se stessa trasparente. Il prato, il cielo sbiadiscono mentre la musica diventa un suono ovattato e lontano e le risate intorno una pioggia di spilli che affondano nella sua anima smarrita.
com’è strano… Ora Venusta, nel sogno, è piccola come gli abitanti del prato. Fili d’erba come alberi, i grilli a cantare per lei sola e le farfalle a scompigliarle i capelli col garbo delle loro ali accese di colori, ali che diventato più grandi, ali che diventano una mano forte e abbronzata, e dopo occhi neri, quelli di lui. Perché, perché quell’invito così desiderato, così galante, così perfetto, perché la spaventa?
No, non lo fare. Non lo seguire…La voce non riesce a percorrere la distanza tra la mente il cuore e le braccia di Venusta, le mani ormai nelle sue padrone.Ballano, adesso, si gonfia la gonna, è bella Venusta, è così naturale danzare tra le braccia di lui. Eppure… la mano che le sorregge la schiena e la guida nei passi è gelata. La pressione si fa insopportabile e sfrontata. Perché? La risposta le viene dalla risata di lui, aperta, forte, sfornata di lui, mentre d’improvviso le abbandona i fianchi: “Tu, da adesso, sei mia…”
Un’illusione che dura il tempo di una canzone danzata…
NO! Non avevi diritto di illudermi, non dovevi…NON DOVEVI!
È Venusta che grida nel sogno, un grido lungo tutta la vita dopo, che nel suo cuore ha continuato a levarsi, e anche ora. Tu mago, tu incantatore di serpenti, tu conoscevi il potere del tuo sorriso. E sapevi, mentre ti facevi beffa di me, che una volta entrato nel mio cuore di ragazza ci avresti fatto il nido, l’avresti abitato per sempre, pur lasciando vuoto quel nido…
Nel sogno Venusta ogni notte lo costringe a tornare, e ogni notte il sogno si conclude con quel grido.
Tu mi amavi, ma ne eri indispettito. Non volevi una donna ma un facile futuro. Intanto contemplavi le mie forme che tradivano con timida speranza il distacco dall’adolescenza acerba e che piene e morbide riempivano le tue mani voraci, mentre io di te ero già colma.
Quante volte ti ho lasciato percorrermi, mentre mi tenevi ferma rivendicando possesso di me… Sapendo che non mi avresti scelta mai, ti ho lasciato fare. Ho ancora sul corpo intatte le strade percorse dalle tue mani. Il mio corpo senza più sottintesi (sì, ancora e ancora lunga teoria di sì implorati) Era me che volevi, la mia pelle che a te rispondeva, alle mani come allo sguardo che mi ridisegnava amante amata nuova ogni volta. Io, dalle tue dita dipinta, io capolavoro dei tuoi desideri… “Sei mia, solo mia!  No!!!

“Mia, sei solo mia…” Oh, non era dichiarazione d’amore, la sua, ma pretesa. Altro non sapeva fare, né altro voleva, che possedere. Sciagurata avida mascolinità. Il quadro, nell’egoismo impertinente di lui era già perfetto. Venusta l’amore tiranneggiato, Giorgia il matrimonio foriero di soldi e posizione sociale prestigiosa. L’una all’altra complementare, a nessuna delle due avrebbe rinunciato.
Le due ragazze erano allora inseparabili, commiste in una simbiosi funzionale a entrambe.
Venusta stava bene all’ombra della sfacciata esuberanza dell’amica, viveva di riflesso le disinvolte esperienze sessuali di lei nei suoi racconti vanagloriosi, e che l’aveva eletta sua confidente, sua spalla silenziosa, così discreta da non offuscarla mai, sebbene Venusta possedeva quella bellezza
che si diffonde intorno come il sentore di un’essenza leggera ma persistente, delicata ma indimenticabile, se solo vien colta. Ed era Giorgia che lui corteggiava, diretto al suo scopo, blandendo le grazie sin troppo profuse di lei, ma che importa, e offrendole continua conferma di un fascino ormai stropicciato, che non aveva più nulla da sottintendere. La sua era pur sempre autentica passione, fingere non gli serviva: ma non per la donna, ma per il mondo che lei gli stava per consegnare. Intanto fissava Venusta, da sopra le spalle del corpo di Giorgia che stringeva. Venusta persa, Venusta confusa, Venusta ammaliata. Si sentiva cedere a quelle braccia che stringevano un’altra e non riusciva a sfuggire a quello sguardo. Ogni volta che poteva lui le sussurrava (no, le sibilava) “Tu, tu sola hai odore di buono, lasciamelo sentire… solo io lo posso fare… lo sai, e ricorda, sei mia!”
E tu sei un uomo crudele. Uomo privo di cuore non puoi tenerti il mio.
La paura può essere dolce come il miele, il bisogno d’amore tossico e irrinunciabile come una dipendenza. E Venusta consuma la sua droga, continua a rivivere esausta l’oltraggio di lui…
Una notte come altre, nello chalet di montagna di Giorgia, dopo una giornata di sguardi crudelmente giocati. La casa è in silenzio, finita una cena sopra le righe, spento il camino e le risate eccessive e ubriache di lui.
Venusta si sveglia di soprassalto occhi e cuore aperti di paura, bocca oppressa dalla sua ruvida mano:“Taci! Se non urli ti lascio. Se stai buona ti libero…”
Smarrita lei fa di sì con la testa. Cerca disperatamente una risposta diversa, ma non la trova e si odia di sfuggita. Le coperte scostate con la febbrile arroganza del padrone rivelano il corpo di lei avvolto nella camicia da notte, ultima difesa di mussola leggera, immobile di terrore e di respiro sospeso.
Di lui, ricorda il viso stravolto da un desiderio che escludeva per sempre l’amore, e che la guardava.
Cerca disperata di cogliere una parvenza di dolcezza nel tocco del dito di lui che le percorre lentamente il corpo che non riesce  a non essere così morbido al suo passaggio. Venusta non dubita che una riga rossa, che mai avrebbe smesso di bruciare, rimarrà traccia indelebile sul suo corpo arreso. Ed è tentata di perdersi in quella resa. Intanto il dito di lui indugia dall’unghia del piede alle gambe, percorre il rettilineo delle cosce, ricama gli anfratti del suo corpo. Una volta, una volta sola, amami… Ritorna in sé con la violenza di uno schiaffo, si concentra sullo spasmo dell’offesa. E reagisce, con la morte nel cuore.
NO!
Smetti, smettila. Tra un mese ti sposi. Con lei. Cosa vuoi da me? Che cosa pretendi?Lasciami in pace, ti prego, ti supplico. Lasciami stare. Dio, com’è difficile gridare sottovoce…
NON SONO TUA NON SONO MAI STATA TUA LASCIA… Uno schiaffo vasto come il vuoto nel quale rimbomba, e la faccia di lui confitta nel basso ventre, luogo di donna ad un tempo più sacro e carnale, per portare a termine il suo spregio. Ma c’è una forza che soccorre disperazione. E Venusta, se stessa donna lupa soccorre, libera e selvaggia e padrona. Con quella forza antica lo allontana. E fugge. Subito, di notte, da sola. Così come fugge ancora…
Venusta ha saputo del loro matrimonio, e di loro ha saputo molto altro ancora. Ma intanto, lei, una vita, non è ancora riuscita ad afferrarla…

 

Credo che ricomincerò a scrivere (senza nessuna pretesa) ma con tutta la passione che sento di avere dentro di me. 

Monica.

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